La quaresima è iniziata da poco e, in un modo o nell’altro, viene associata la digiuno. Digiuno dal cibo per ricordarci di ciò che è ancora più importante del cibo (la relazione con Dio), digiuno per ricordarci dei poveri che digiunano contro la loro volontà subendo l’ingiustizia di beni abbondanti ma sempre sulla mensa degli altri. Si potrebbe perfino pensare che il digiuno sia un lusso dei ricchi, di chi sa che poi avrà da mangiare in abbondanza, di chi deve ricordarsi dei poveri perché la povertà e la fame non caratterizzano la sua vita.

Ma in realtà non è sempre così. Penso per esempio al racconto che Elie Wiesel fa della vigilia di Rosh Hashana nel lager di Auschwitz: “La vigilia di Rosh Hashana, ultimo giorno di quell’anno maledetto, tutto il campo era elettrizzato dalla tensione che regnava nei cuori. Era, malgrado tutto, un giorno diverso dagli altri: l’ultimo giorno dell’anno (…) Ci distribuirono il pasto della sera, una zuppa assai densa, ma nessuno la toccò: volevamo aspettare a mangiare dopo la preghiera” (E.Wiesel, “La Notte”, Giuntina p.68)

Qui erano i poveri a digiunare e forse lo facevano nel disperato tentativo di ottenere l’attenzione di Dio, di quel Dio che invece Wiesel non implorava più perché “Mi sentivo, al contrario, molto forte. Ero io l’accusatore, e l’accusato, Dio” (op. cit. p. 70).

L’idea che, se digiuniamo, Dio ci ascolta di più, è un’idea che considero molto discutibile. Non credo che Dio sia felice se ci infliggiamo volontariamente delle sofferenze. Non dice forse il Signore “Questo il digiuno che voglio: sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi…dividere il pane con l’affamato, introdurre in casa i miseri”?  (Isaia 58,5-7).

Allora, certo, possiamo digiunare e fare penitenza, anche questo può aiutare. 

Ma forse la strada per vivere una spiritualità, cioè una relazione con Dio più intensa, può passare da altre strade che ci ha indicato Gesù:

  • un supplemento di coraggio e parresia di fronte a ogni ingiustizia che riguardi ogni persona oppressa o scartata, ma anche l’ecosistema di cui siamo parte.
  • un supplemento di amore, un farci prossimi a chi incontriamo, con maggiore convinzione e con maggiore gioia
  • abbeverarci alla fonte della Parola tramite la preghiera comunitaria e personale
  • non digiunare per ricordarci dei poveri ma allargare la nostra mensa ai poveri

La parresia e l’amore molto spesso implicano sofferenza: questa è la sofferenza buona! Quella che siamo disposti a sopportare perché amiamo, perché abbiamo il coraggio di difendere la giustizia, di annunciare il vangelo “Beati voi quando vi insulteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia”. (Matteo 5,11).

Insomma, se, in un certo senso,  il digiuno rimanda a una spiritualità per sottrazione, si può anche pensare a una spiritualità per addizione!

Carla Mantelli