Quest’anno la celebrazione della Giornata della Memoria cade in un momento molto delicato a causa della guerra (l’ennesima) in atto tra lo Stato di Israele e i palestinesi di Hamas iniziata il 7 ottobre con l’attacco terroristico ad alcuni villaggi israeliani e la successiva reazione  dell’esercito di Israele. Le condanne della violenta iniziativa di Hamas non si sono fatte attendere ma ora, l’enormità della reazione israeliana ha suscitato una diffusa riprovazione. Gruppi organizzati, singoli cittadini, Stati,

accusano Israele di avere reagito in modo sproporzionato causando la morte di migliaia di civili innocenti e di avere ridotto alla fame centinaia di migliaia di superstiti. E fin qui siamo all’interno di una drammatica ma legittima discussione: sbaglia di più Israele a seminare tanta morte o sbaglia di più Hamas a negare violentemente la possibilità di esistere allo Stato di Israele? Hanno più ragioni gli israeliani a cercare la loro sicurezza al prezzo di limitare i diritti dei palestinesi o hanno più ragioni i palestinesi che sono da decenni sotto l’occupazione israeliana? In situazioni di questo genere è molto difficile decidere chi ha più ragioni o più torti ma il problema è un altro. Il problema è che l’ostilità nei confronti dello Stato di Israele si trasforma in una ostilità nei confronti degli ebrei in quanto tali e che lo Stato di Israele viene accostato a uno Stato nazista. E questo, nonostante che molti ebrei nel mondo non approvino per nulla le politiche dell’attuale governo israeliano, il quale subisce significative contestazioni anche in patria.

Attenzione quindi. Se sabato 27 gennaio in qualche classe ci trovassimo a parlare della Giornata della Memoria ricordiamo bene alle nostre alunne e ai nostri alunni che una cosa è lo Stato di Israele, le cui scelte politiche sono ovviamente sempre criticabili, un’altra cosa è il popolo ebraico sparso nel mondo che non è responsabile di quella politiche.

Senza questa distinzione si rischia di essere complici di un nuovo antisemitismo come documenta bene Paolo Mieli in questo recente articolo sul Corriere.

Carla Mantelli