Questo post è un po’ anomalo perché contiene la relazione che il nostro collega Filippo Binini ha svolto a un Convegno sull’IRC a Senigallia spiegando perché ha ancora senso scegliere di avvalersi della nostra disciplina.  Quindi è un post più lungo del solito. Ma vale la pena leggere!  

"Mi sembra molto importante tenere insieme i due poli di questa conferenza: l’ora di religione e il mondo che, intorno a noi, sta cambiando. Possiamo effettivamente parlare in modo consapevole dell’IRC solo collocandola dentro un contesto di profondo cambiamento.

In realtà, guardando al mondo della scuola, ci accorgiamo che i cambiamenti sono in gran parte già avvenuti e che sono di portata epocale. A tal punto che le condizioni che avevano portato al modello di insegnamento della religione cattolica che oggi conosciamo, circa quarant’anni fa, si stanno sgretolando sotto i nostri occhi.

Anzitutto, assistiamo a una regressione rapidissima del cristianesimo di tradizione, tanto che si parla ormai diffusamente di società post-cristiana. Le persone, i giovani in particolare, orientano la loro vita secondo modelli e valori che non si rifanno più alla tradizione cristiano-cattolica. Il mese scorso, al termine della seconda fase del Sinodo italiano, ho provato a chiedere ai miei studenti e alle mie studentesse se avessero un’opinione in merito. Su diciotto classi, dunque all’incirca trecento studenti e studentesse, nessuno sapeva di cosa stessi parlando. Uno dei momenti più importanti della storia recente della Chiesa, forse il più importante dopo il Concilio, è passato diversi metri sopra le loro teste. La proposta cristiana, soprattutto quella che passa attraverso i canali istituzionali, riceve perlopiù in risposta un’assoluta indifferenza.

Se in Italia la tradizione cristiano-cattolica arretra, ci sono però altre tradizioni religiose che, al contrario, crescono velocemente. Ciò avviene in particolare (ma non solo) a causa dell’immigrazione.

Nelle nostre classi ci sono ragazze che indossano l’hijab e ragazzi che indossano il dastar (il turbante dei Sikh), e le mense scolastiche prevedono diete differenziate in base all’appartenenza religiosa degli alunni. I dati del Ministero dell’Istruzione riferiscono che, mediamente, il 10,3% degli studenti e studentesse delle nostre scuole non sono italiani, ma la distribuzione di questo dato sul territorio è molto disomogenea: si passa dal 2,5% della Sardegna al 20% dell’Emilia-Romagna. Nella nostra regione, dunque, per ogni classe di 30 persone ci sono in media 6 studenti o studentesse appartenenti a una tradizione diversa da quella cristiano-cattolica, ed è facile immaginare che nei prossimi anni questi numeri cresceranno (le migrazioni verso l’Italia sono tutt’altro che in calo).

Sono sufficienti questi due elementi di cambiamento – la perdita di attrattività del cattolicesimo e la crescita della diversità religiosa – per capire che un insegnamento della religione ancora di stampo confessionale rischia oggi di risultare inadeguato, “tanto dal punto di vista delle conoscenze da acquisire quanto da quello dell’utenza da integrare”[1]

Ma allora, per quali motivi continuare ad avvalersi dell’IRC? Nonostante tutto, credo ci siano alcune ottime ragioni.

La prima non è un merito dell’IRC, quanto piuttosto un demerito della materia che, nella scuola, le è concorrente. L’alternativa alla religione è, tranne rarissime eccezioni, un’“ora del nulla”, che non prevede alcun percorso significativo per la formazione degli studenti e delle studentesse, e che anzi incoraggia comportamenti diseducativi. In molti casi si traduce nel sostare un’ora davanti allo schermo di un cellulare, oppure nel vagare per la scuola o addirittura – nella scuola secondaria superiore – per la città (una delle possibili opzioni per chi non frequenta religione è l’uscita dalla scuola), tanto che uno studente che non si avvale dell’IRC potrebbe benissimo uscire da scuola, bersi una birra al bar e poi tornare in classe per l’ora di italiano o matematica (l’ho visto accadere più di una volta).

L’assoluta irrilevanza dell’alternativa alla religione è probabilmente una delle ragioni per cui l’IRC continua a “tenere”: oggi ancora l’80% circa degli studenti e delle studentesse italiane scelgono di fare religione, ma d’altra parte cos’altro potrebbero scegliere?

Una seconda ragione per cui la scelta dell’ora di religione continua ad essere importante è il fatto che il nostro Paese sconta oggi un gravissimo analfabetismo religioso. La grande maggioranza della popolazione italiana ha una consapevolezza molto scarsa del cattolicesimo, e quasi nulla delle altre fedi che abitano il nostro territorio. Molte conoscenze che fino a qualche decennio fa potevamo tranquillamente dare per scontate oggi si sono dissipate. Per fare un esempio, solo un italiano su tre è in grado di citare correttamente i quattro evangelisti, meno di uno su tre è in grado di mettere nel giusto ordine cronologico Abramo, Mosè, Gesù e Muhammad[2].

L’analfabetismo religioso è un problema enorme, significa non avere più un “alfabeto” che ci consenta di leggere la nostra storia, l’arte, la letteratura (a chiunque bazzica le aule docenti è capitato di ascoltare le lamentele del prof. di italiano perché è sempre più difficile affrontare in classe la Divina Commedia o i Promessi Sposi). Quel che è peggio, significa non avere le parole giuste per interpretare la realtà stessa che abitiamo. Per questo l’ora di religione continua ad essere uno spazio importante all’interno della scuola italiana.

Non si può naturalmente pretendere che l’IRC compensi un sapere che prima veniva trasmesso da moltissime istituzioni, prima fra tutte la famiglia (Benedetto Croce cent’anni fa diceva che Italia era impossibile non dirsi cristiani, perché volenti o nolenti il cristianesimo lo si respirava come l’aria), però è senz’altro uno spazio che va custodito con cura. Semmai, dovremmo chiederci quali altri spazi di alfabetizzazione al fatto religioso aprire, anche nella scuola.

Un terzo motivo per avvalersi dell’IRC è che in una società “super-diversa” (così definiscono i sociologi le società occidentali) la competenza al “vivere insieme” è sempre più necessaria. L’ora di religione è in grado di offrire un contributo molto importante in questo senso. Una premessa necessaria alla convivenza, infatti, è la conoscenza reciproca, e la conoscenza riguarda anche la fede religiosa, che continua ad essere un elemento identitario fondamentale per molte persone.

Il tema del vivere-insieme è strettamente legato a quello dell’analfabetismo religioso. Quest’ultimo costituisce infatti una sorta di “inquinamento” della nostra realtà, perché produce stereotipi e pregiudizi che minano la coesione sociale e rallentano i processi di integrazione. A scuola, parlando con le ragazze musulmane che indossano l’hijab, si scopre che moltissime hanno sopportato derisioni, insulti, minacce verbali, solo per il fatto che il velo rendeva manifesta la loro appartenenza religiosa. Oggi il 5% dei cittadini europei sono musulmani, nel 2050 saranno verosimilmente il 15%: possibile non attrezzarsi alla convivenza?

Una conoscenza più profonda delle altre religioni oggi è certamente un elemento decisivo per poter abitare un mondo plurale. In questo senso, l’ora di religione continua a costituire un fattore importante per la formazione di studenti e studentesse, ma dovrebbe anche interrogarsi su: a) una revisione dei suoi contenuti, oggi legati soprattutto alla tradizione cristiano-cattolica e troppo poco sulle altre fedi religiose; b) la facoltatività della materia, che fa sì che il patrimonio di multiculturalità presente nelle aule scolastiche esca dalla porta proprio quando entra l’insegnante di religione.

Un quarto motivo per avvalersi dell’ora di religione è che si tratta dell’unica materia che mette a tema le grandi domande dell’umanità. Non è certamente l’unica che le intercetta, visto che anche durante l’ora di italiano, di filosofia, di arte, capiterà di riflettere sul senso dell’esistenza, sulla morte, sul problema del male. Ma l’ora di religione è l’unica che fa di queste domande l’oggetto stesso del suo insegnamento. In fondo, cos’altro sono le religioni se non il tentativo di rispondere, nelle differenti culture ed epoche storiche, a quelle grandi domande che da sempre l’umanità si pone? Approfondire questi interrogativi, specie in un’età in cui studenti e studentesse cominciano a percepire e giudicare le domande che orienteranno la loro vita futura, costituisce un tratto importante della loro formazione personale.

Su questo tema mi permetto di aprire una parentesi. Molte volte durante le nostre formazioni ci sentiamo ripetere che l’insegnante di religione dovrebbe essere un buon testimone della vita cristiana. Lo si trova scritto addirittura sul codice di diritto canonico[3]. È un argomento che mi suscita almeno un paio di perplessità: da un lato, mi sembra che ogni cristiano dovrebbe anche essere un buon testimone della vita cristiana, tanto l’insegnante di religione quanto quello di matematica o di storia. Dall’altro, credo che lo specifico dell’insegnante di religione non sia quello di testimoniare la bontà di una fede particolare, ma della fede in quelle grandi domande che da sempre animano l’umanità. Il suo compito dovrebbe essere quello di mostrare come questi interrogativi ci rendono più uomini e più donne, dando un significato più profondo alla nostra vita. Insegnare religione non vuol dire infondere una fede, ma saper trasmettere perché le religioni sono fonti di senso e di vita, ancora oggi, per milioni di donne e uomini. Ciò che l’insegnante di religione deve testimoniare non è dunque una verità, ma la ricerca della verità.

Un’ultima ragione per avvalersi dell’IRC è che, almeno parzialmente, credo che un cambiamento dell’ora di religione sia già in atto all’interno della scuola italiana. Oggi l’IRC deve vedersela con molti problemi, ma è anche un grande “cantiere” dove tanti insegnanti cercano di ripensare i contenuti, gli obiettivi, le competenze della propria disciplina, per adeguarli ai bisogni che emergono all’interno della scuola. Si tratta di una revisione dal basso, magmatica, persino un po’ caotica, che alle volte può creare difficoltà (penso ad esempio alla proliferazione dei programmi: a volte fare religione con un docente o un altro può voler dire affrontare argomenti completamente diversi), ma che dice la sensibilità dei docenti nei confronti di una realtà che li interpella costantemente.

Spesso, quando gli studenti che non si avvalgono dell’IRC escono dalla classe, capita che qualche compagno si stupisca e domandi: “ma perché hai scelto di uscire? Guarda che non facciamo mica religione cattolica!”. Già oggi la percezione dell’ora di religione, da parte degli studenti e delle loro famiglie, non è più quella di una materia confessionale.

Se il mondo cambia intorno a noi, non ha senso chiuderci cercando di restare identici a come eravamo; il cambiamento è non scompare ignorandolo e noi rischiamo di esserne travolti. L’insegnamento della religione cattolica, in questo senso, ha davanti a sé molti passi da fare per rispondere ai mutamenti avvenuti nella società e nella scuola italiana. Ugualmente, quando studenti e studentesse sono chiamati a scegliere se avvalersi o meno dell’ora di religione, la scelta che mi sentirei di consigliare caldamente è quella di avvalersene. Non farlo significherebbe perdere dei pezzi troppo importanti per la loro formazione".

Filippo Binini

 

[1] M. Ventura, Verso il nuovo insegnamento della religione cattolica nella scuola pubblica italiana in “Credere Oggi” n. 251 5/22, p. 47-48.

[2] Dati del “Rapporto sull’analfabetismo religioso in Italia” curato da A. Melloni.

[3] Il canone 804 del Codice di Diritto Canonico stabilisce che gli insegnanti di religione cattolica siano «eccellenti per retta dottrina, per testimonianza di vita cristiana e per abilità pedagogica».