Non so se quando parliamo a scuola delle chiese cristiane e, in particolare, di quelle cattolica e ortodossa, qualcuno di noi usa ancora il sostantivo “sacerdoti” riferendosi ai ministri ordinati. Non dovremmo farlo. Come spiega con grande chiarezza il teologo tedesco Martin Ebner in un libro tradotto recentemente in Italia, mai, nel Nuovo Testamento, il termine sacerdote è associato a presbiteri e vescovi. È Gesù l’unico sommo sacerdote e, in lui, tutti i battezzati e le battezzate formano un popolo sacerdotale.

È solo verso l’inizio del terzo secolo che vescovi e presbiteri cominciano a definirsi “sacerdoti” ponendosi “consapevolmente in una linea che è tipica del personale cultuale dell’Antico Testamento” (p.97). Ecco allora la netta separazione tra clero e laicato, il perdono dei peccati dispensato dai ministri ordinati, l’ideale del celibato, la sacralizzazione del ruolo, la liturgia che da banchetto diventa sacrificio e l’altare come luogo della sua ripresentazione. Tutti elementi estranei al Nuovo Testamento e all’insegnamento di Gesù che aveva criticato aspramente il culto del tempio, i sacrifici, la casta a ciò addetta.

Questa evoluzione permette a presbiteri e vescovi di svolgere a tempo pieno il loro compito perché remunerati. Consente inoltre al cristianesimo di essere accettato dal mondo romano come “vera” religione: “Secondo la concezione romana, infatti, ad essa soprattutto appartengono sacerdoti, altari e sacrifici. Il cristianesimo si è “professionalizzato e inculturato, ma a caro prezzo rispetto alle idee originarie” (p.104). “Il sacerdozio è un innesto nel cristianesimo e significa una veemente frattura con le linee guida neotestamentari” (p.105).

Gesù aveva dato vita una comunità di uguali, donne e uomini, celibi e sposati, ebrei e gentili, poveri e ricchi… C’erano delle guide nelle comunità ma certo non erano “sacerdoti”.

E quindi, possiamo dire, non c’erano nemmeno “laici e laiche” perché nella comunità tutti avevano un lavoro e una famiglia e tutti avrebbero potuto svolgere un ministero in base ai talenti e alle competenze di ciascuno. Ma i confini del ruolo “laicale” nella chiesa cattolica sono crollati da tempo, basta vedere quali competenze tecniche, amministrative, psicologiche, manageriali… sono spesso costretti ad avere i presbiteri. E basta ascoltare il vescovo di Roma che, nelle sue encicliche, esortazioni apostoliche ecc. si addentra in questioni squisitamente scientifiche e politiche. Ed è giusto così. Eliminiamo steccati e barriere, purifichiamo il linguaggio che non è mai neutro e speriamo che le chiese possano sempre essere alla ricerca del modo migliore per essere fedeli all’insegnamento di Gesù. 

Per approfondire: Martin Ebner, La chiesa ha ancora bisogno di sacerdoti? Queriniana, Brescia 2023 – pag. 124 - €15