Un nostro collega mi ha segnalato un piccolo libro di Zygmunt Bauman, tradotto in Italia nel 2021, che si intitola Le sorgenti del male. Quello del male è un altro dei temi che viene sempre fuori nelle ore di Religione. A volte per motivare un netto rifiuto della fede, a volte razionalizzato come necessario perché emerga il bene, o come inevitabile e giusta conseguenza del dono della libertà. Il testo di Bauman, preceduto da una importante introduzione di Riccardo Mazzeo, offre una prospettiva diversa, drammatica ma, temo, molto realista.

La filosofia kantiana ha cercato di mostrare che l’imperativo categorico riassumibile nel dovere di trattare gli altri come si vorrebbe essere trattati, è frutto della ragione e che, quindi, se siamo razionali compiamo il bene. In realtà “contrariamente alla speranza di Kant, sembra proprio che la ragione comune impieghi la maggior parte del suo tempo e della sua energia nel disarmare e disabilitare le richieste e le pressioni del sedicente imperativo categorico” (p.36).  Nei fatti, la ragione “è una stazione di servizio dove ci si rifornisce di potere” (p.37). È il potere quello che interessa agli esseri umani e la ragione è utile per conquistarlo. Deduco io: è molto razionale affermare che chi è aggredito ha diritto di difendersi con le stesse armi di chi aggredisce. Ed è anche molto razionale affermare che è necessario competere con gli altri per migliorare la condizione di tutti. Se si osserva che questa logica porta all’autodistruzione si viene tacciati di irrazionalità e di estremismo.

Lo psicologo Robert J.Sternberg ha calcolato che nei 36.525 giorni del XX secolo, un numero di civili tra i 100 e i 160 milioni hanno perso la vita nel corso di massacri, in media oltre 3000 morti al giorno. L’11 settembre 2001, dal punto di vista statistico, è stato un giorno come un altro.

Ma perché tanta malvagità? Alcuni studiosi hanno cercato di rintracciarne le origini in predisposizioni psichiche di alcune persone. Hanna Arendt e molti altri con lei, hanno invece constatato che la malvagità non è espressione di mostri ma di persone perfettamente normali le quali, molto disciplinatamente, eseguono, a volte con entusiasmo, più spesso con indifferenza, le direttive ricevute, siano esse volte al bene o al male. Ciò significa anche che ciascuno di noi può diventare una persona malvagia, violenta, persecutrice e torturatrice. Il mondo non si divide in buoni e cattivi.

Ma c’è qualcosa di più oltre a questa logica priva di compassione per la sofferenza altrui. Perché sono state sganciate le bombe a Hiroshima e Nagasaki nell’agosto del 1945? Non perché fosse un’azione necessaria a vincere la guerra, non perché le due cittadine giapponesi avessero un significato strategico, ma perché si erano spesi due miliardi di dollari per costruire le bombe e quindi non era ragionevole sprecarli. Una volta messa in moto la macchina bellica, essa va comunque avanti. Deve andare avanti e dispiegare tutto il suo potenziale. Le sofferenze che si provocano impressionano lì per lì ma ben presto entrano a far parte della routine delle società peraltro civilizzate e avanzate.

La malvagità umana è sempre esistita ma oggi il potere che le elite hanno a disposizione grazie agli sviluppi della scienza e della tecnologia, è immenso. Un potere immensamente distruttivo che si alimenta continuamente grazie alla routine della violenza. La guerra in Ucraina ci ha sconvolto ma ci abbiamo fatto ben presto l’abitudine. Non merita nemmeno più le prime pagine dei giornali.

E allora, di nuovo: perché tanta malvagità? Perché nella nostra epoca – afferma Bauman citando Gunther Anders, è stato separato il potere di produrre dal potere di immaginare. Produciamo continuamente mezzi di distruzione sempre più devastanti ma non sappiamo immaginarne le conseguenze. Vediamo solo la realtà fatta di tastiere e di bottoni, non le migliaia di persone straziate dalle bombe. “Che schiacciare un bottone avvii un apparecchio da cucina per la preparazione di gelati, alimenti la corrente in un circuito elettrico o scateni i Cavalieri dell’Apocalisse, non fa differenza”. Il gesto che darà origine alla catastrofe “non sarà diverso da uno qualunque degli altri gesti e verrà compiuto, come tutti gli altri identici gesti, da un operatore analogamente guidato dalla routine e annoiato da quella stessa routine” (p.88-89).

La speranza di potere fermare il processo di autodistruzione dell’umanità è molto esile. Non ci resta che provarci comunque, coltivando la compassione e la capacità di immaginare le conseguenze della nostra indifferenza.

Zygmunt Bauman, Le sorgenti del male, Il Margine, p.97, €.10

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