“Non devi studiare per il voto! Devi studiare per te, per imparare e crescere!”. Quante volte abbiamo detto o sentito questa frase rivolta a qualche studentessa o studente. Ma noi insegnanti siamo davvero capaci di aiutare chi abbiamo davanti a non studiare per il voto? Molto spesso, dopo avere affrontato un argomento (lezioni, discussioni, approfondimenti…) si fa la verifica, la si corregge e si attribuisce un voto. Poi si passa al successivo argomento. Il voto dunque conclude una parte del percorso di
apprendimento, certifica se sono sati raggiunti gli obbiettivi oppure no. Quindi, di fatto, è difficile fare percepire che lo scopo del lavoro scolastico non deve essere il voto. E d’altra parte, se ci sforziamo di spiegare le ragioni di un voto, i punti di forza e di debolezza di una prova, se aggiungiamo anche consigli per migliorare… nel momento in cui compare il voto, agli occhi della studentessa che abbiamo davanti, tutto il resto perde di importanza. “Ho preso un bel voto o un brutto voto? Questo mi importa”.
Quindi che fare? La questione è stata brillantemente approfondita nella bella giornata di formazione che alcuni dirigenti della nostra città hanno organizzato il 7 settembre scorso. Più di quattrocento docenti presenti a testimoniare il bisogno estremo di capire come fare della valutazione un evento educativo invece che un premio o un castigo.
La relazione centrale è stata del prof. Cristiano Corsini autore del consigliatissimo libro La valutazione che educa (Franco Angeli – 2023 – p.128 - €.18,00).
Il concetto fondamentale da avere ben presente è che la valutazione è un mezzo e non un fine e che non si identifica con il voto. Valutare significa avere degli obbiettivi di apprendimento molto chiari e mettere in atto degli interventi perché la distanza tra la realtà e gli obbiettivi si accorci. Quindi, di fronte a una prova, l’insegnante, avendo chiarito al gruppo classe gli obbiettivi e i criteri di valutazione, dovrà descrivere quali sono i punti di forza e di debolezza della prova e dovrà anche dare suggerimenti per il miglioramento. Per evitare che tutto questo venga ignorato dallo studente, può essere molto opportuno evitare di assegnare un voto. La legge, infatti, non impone affatto di dare tanti voti durante l’anno ma impone di effettuare un congruo numero di prove. Queste prove avranno una valutazione formativa (cioè, una descrizione dei risultati della prova che promuova il miglioramento) e solo alla fine dell’anno (o anche alla fine del primo quadrimestre) il percorso verrà sintetizzato in una valutazione sommativa che richiederà il voto.
E noi IdR non illudiamoci: i giudizi “sufficiente, discreto, buono, ottimo” funzionano esattamente come i voti quindi non siamo affatto estranei agli equivoci di cui sopra. Diciamo che noi, di fatto, diamo un’importanza ridotta a questi giudizi/voti dato che anche un “insufficiente” in pagella, non solo non fa media ma non ha alcuna conseguenza sull’ammissione all’anno successivo. Quindi possiamo essere nelle condizioni migliori per migliorare i nostri stili di valutazione puntando sulla valutazione descrittiva e quindi formativa
Molti altri aspetti sono stati toccati dal relatore e dagli altri interventi della ricchissima giornata. Due soli elementi vorrei ricordare. Primo: è molto saggio, secondo il prof. Corsini, promuovere la partecipazione di studentesse e studenti al processo valutativo, per esempio discutendo con loro delle prove da assegnare e chiedendo il loro parere sulla valutazione espressa dalla/dal docente. Troppo spesso la valutazione è vissuta come atto di potere monarchico. Secondo: non illudiamoci, la valutazione non è mai oggettiva. Possiamo però renderla rigorosa, valida e trasparente. Non è affatto facile ma non possiamo più permettere che nella scuola tutto sia “divorato dal voto” secondo un’efficace espressione del libro del prof. Corsini.