Qualche giorno fa nella scuola dove insegno si è svolta l’assemblea di istituto per approfondire la “tematica interculturale” (così era scritto nella circolare con le disposizioni organizzative). I ragazzi e le ragazze rappresentanti di Istituto hanno deciso di gestire in totale autonomia la mattinata evitando di coinvolgere persone esperte esterne alla scuola e anche di proporre film o altri tipi di supporti video. La perplessità della dirigenza e di noi docenti era palpabile. Il tema era troppo generico, i partecipanti troppo numerosi,
le “guide” inesperte... E’ pur vero che erano state organizzate due assemblee parallele, una per il triennio e una per il biennio ma la gestione appariva comunque molto impegnativa. Io ho partecipato all’assemblea del triennio e devo ammettere che il mio scetticismo iniziale si è trasformato in stupore misto ad ammirazione per come sono andate le cose. Sul palco del teatro Al Parco è andata in scena un’intervista a tre ragazze del nostro liceo, una proveniente dal Ghana, un’altra dalla Costa d’Avorio e una terza dalla Nigeria. Hanno portato con semplicità la loro esperienza e le loro riflessioni sulla società di oggi in cui sempre di più le persone, le lingue, le religioni, le tradizioni... si mescolano. Circa 400 persone assistevano. E lo hanno fatto in ascolto rispettoso.
Di seguito è iniziato il dibattito. Sono intervenuti in tanti, spontaneamente, alzando la mano e aspettando l’arrivo del microfono per parlare. Le idee sono state generalmente espresse con una certa chiarezza e nessuno ha avuto espressioni nemmeno velatamente razziste o xenofobe. C’è stato qualche momento che forse un insegnante avrebbe gestito meglio, qualche giudizio di troppo sull’intervento precedente, qualche confusione e superficialità. Molti applausi superflui... Ma considerando che si trattava di circa 400 adolescenti che discutevano completamente autogestiti, il risultato è stato migliore di qualunque mia aspettativa.
Alcune riflessioni
Ho assistito ad altre assemblee con invitati esterni e ho osservato la difficoltà di aprire un dibattito partecipato dopo i loro interventi. Nell’assemblea di cui parlo invece i ragazzi e le ragazze si sentivano forse più liberi perché tutti alla pari, non dovevano confrontarsi con adulti di cui probabilmente temevano il giudizio.
E’ stato anche molto bello ascoltare i tanti interventi di chi si sente italiana/o pur avendo origine in altri Paesi: “I miei genitori sono egiziani ma io sono nata qui e mi sento italiana”, “Io sono nato in Toscana, parlo toscano, per quale motivo devo essere considerato nigeriano? Se chiudete gli occhi e mi ascoltate non vi verrebbe mai in mente di dire che sono ‘straniero’”, “I miei genitori sono tunisini, io ho fatto richiesta di cittadinanza italiana appena compiuti i 18 anni. Ci sono tante lungaggini, soldi da spendere... perché?”, “Io sono nata da genitori ivoriani e non mi sento nè ivoriana nè italiana ma forse un giorno tornerò in Costa D’avorio per contribuire a migliorare la situazione”...
Poiché non ho sentito alcun discorso razzista ho pensato che chi la pensa in un certo modo era forse rimasto a casa ma poi ho cambiato idea: ce n’erano in sala ma diventa difficile fare discorsi razzisti rivolti a persone che hai di fronte, sono in classe con te, ti parlano come ti parlano gli altri tuoi amici...Il razzismo si sconfigge con l’incontro tra le persone, non con i ragionamenti. E la scuola è un luogo privilegiato di incontro.
Naturalmente va anche considerato che parlo del liceo delle Scienze Umane in cui l’educazione alla cittadinanza è il cuore di diverse materie curricolari. E infatti ogni tanto si sentiva: “Come abbiamo studiato in antropologia...”, “C’è scritto sul libro di Diritto...”, “Ne abbiamo discusso in Sociologia...”
Cosa ho imparato: le nostre studentesse e i nostri studenti meritano fiducia.