Qualche settimana fa ho assistito alla presentazione del libro di Danilo Amadei “Quanto ho imparato insegnando” (ed. Centro Studi Erickson). Chi conosce Danilo sa che ha la “mania” della documentazione e così, dopo 40 anni di insegnamento, non deve essergli stato troppo difficile raccogliere i ricordi più significativi del cammino e ordinarli in un libro ricco di fatti, persone, emozioni. Ricco di scuola e di vita. Questo libro, di cui ancora non ho completato la lettura, mi ha già suscitato alcune riflessioni che desidero condividere.
Partiamo dal titolo che evoca il fatto che noi insegnanti a scuola impariamo. Ed è proprio così! Quando ho cominciato a insegnare credevo di sapere tutto e mi scandalizzavo per gli errori delle mie studentesse e dei miei studenti. Ma mano a mano che gli anni passavano mi rendevo conto di non sapere quasi nulla e che non c’era nessun motivo di scandalizzarsi perché chi avevo di fronte non sapeva le poche cose che sapevo io... Ho capito allora, non solo che dovevo rimettermi a studiare, ma che, ascoltando ciò che le ragazze e i ragazzi mi dicevano, io aprivo la mia mente, mi facevo nuove domande, vedevo il mondo, la fede, la religione...da nuovi punti di vista.
Ho capito che non dovevo preoccuparmi di avere la risposta per tutto ma di condividere le domande e di farne sorgere sempre di nuove perché la verità è qualcosa da cercare sempre e da non possedere mai.
Quante cose ho imparato anch’io in questi 30 anni abbondanti di scuola!
L’importanza di documentare costituisce un’altra questione interessante. Danilo scrive che nella scuola c’è molta ricerca, molta innovazione, molte bellissime esperienze che però in un certo senso non lasciano traccia. In effetti se un nuovo IdR dovesse sostituirmi nella scuola dove insegno che cosa troverebbe del lavoro che ho svolto in tanti anni con tante classi? Potrebbe leggere i miei piani di lavoro e le mie relazioni finali, certo. Ma non sono questi i documenti che rendono ragione della ricchezza del nostro lavoro, comprensivo dei successi e dei fallimenti. Come si fa allora a documentare? Potremmo chiedere a Danilo qualche istruzione...
Un’ultima annotazione, in un certo senso amara. Danilo, in quanto insegnante di Lettere nella secondaria di primo grado, in quarant’anni di scuola ha avuto 16 classi per un totale indicativo di circa 350 studenti. Un’insegnante di religione alla secondaria di secondo grado, in quarant’anni di scuola accumula più di 140 classi. Per un totale indicativo di circa 3000 studenti. Il libro di Danilo ci racconta di apprendimenti personalizzati e relazioni significative tra l’insegnante e ciascun studente. Ci racconta una storia, non ci spiega delle teorie. Ed è davvero convincente sul valore della scuola e del nostro mestiere. Ma fino a che punto le condizioni in cui noi IdR lavoriamo ci permettono di sperimentare qualcosa di simile?
In ogni caso, per farvi venire voglia di leggere il libro, riporto una frase che una ragazza rivolse a Danilo: “Prof. noi le scriviamo tutto perché lei è capace di ascoltare come una donna!” Davvero un complimento straordinario!