Martedì 5 dicembre presso la Fondazione S.Carlo di Modena,  in un Teatro gremito di studiosi, la Prof.ssa Felici, docente di Storia Moderna all’Università di Firenze, ha spiegato cosa si intende per “riforma radicale”. Non esiste infatti una sola riforma, ma tante: quelle “magistrali” guidate da Lutero, Calvino, Zwingli… ma anche le riforme radicali: un complesso magmatico di sètte, gruppi, individui diffusi in tutta Europa, caratterizzati da misticismo, umanesimo, profetismo, evangelismo, che, interpretando la Bibbia nei modi più diversi, hanno aperto la strada al futuro. Consegnando la Bibbia, tradotta in volgare, ad ogni cristiano, Lutero aveva infatti scoperchiato un vaso di Pandora.

 

Ma all’origine di questi variegati movimenti non c’era solo Lutero: c’era anche l’umanista Erasmo da Rotterdam. Indagando criticamente la Vulgata come filologo, Erasmo scoprì l’infondatezza biblica dei sacramenti (tranne battesimo ed eucarestia) e della persecuzione degli eretici da parte della chiesa, riducendo infine il messaggio evangelico alla semplice “sequela Christi”. L’essenzialità del messaggio permetteva una vasta riconciliazione tra confessioni cristiane, ma Erasmo si limitò a rileggere la Bibbia e a diffondere la sua traduzione via stampa, senza diventare un innovatore religioso. Tuttavia, anche così, esercitò insieme a Lutero una vastissima influenza sull’Europa, spianando la strada alla cosiddetta “riforma radicale”, un vivaio di idee particolarmente fertile in Italia, dove non esistevano autorità che potessero “normare” questo fermento.

Di qui germinarono l’idea di uguaglianza per tutti (in particolare i poveri e le donne), di separazione tra politica e religione, di tolleranza verso tutte le prospettive religiose. Per questo i radicali furono perseguitati da tutti, sia cattolici che protestanti (Michele Serveto fu bruciato sul rogo da Calvino) e dovettero fuggire in America (dove fondarono la chiesa mennonita), nei paesi dell’est quando ancora non erano controllati dalle chiese ufficiali, e infine in Olanda.

Tali movimenti possono essere distinti in tre filoni:

  • Anabattisti, che rifiutavano il battesimo degli infanti: rifiuto radicale, perché all’epoca dimensione religiosa e politica erano unite, quindi rifiutare il battesimo significava anche rifiutare l’ingresso in società… gli anabattisti non giuravano per lo Stato, che vedevano come separato dalla chiesa, non accettavano di fare i magistrati, vivevano in base al vangelo in un regime di uguaglianza tra signori e servi, uomini e donne, ed infine rifiutavano la violenza.
  • Gli spiritualisti: giunsero a negare tutti i sacramenti, oltre al dogma della Trinità. La Bibbia rimaneva sì fondamento dell’esperienza religiosa per i cristiani comuni, ma iniziarono anche a concepire tale esperienza come un percorso mistico personale, vòlto all’illuminazione. Spianarono così la strada al razionalismo illuminista. Molti di loro rimasero dentro le chiese, senza sentire il bisogno di rivelare pubblicamente la loro posizione.
  • L’ultimo gruppo fece capo a Michele Serveto, che vide in Gesù non la terza persona della Trinità, bensì un’emanazione della divinità. Su questa scia di pensiero il sacrificio di Cristo perse il suo valore salvifico universale, e Cristo divenne una semplice guida etica per il cristiano. Dopo il rogo di Serveto un umanista savoiardo, Sebastiano Castiglione, scrisse un’opera in cui ribaltò il rapporto tra eretici ed ortodossi; gli eretici infatti erano questi ultimi, che volevano imporre una verità assoluta in nome del cristianesimo.

E’ facile intravedere in questi movimenti le origini della società occidentale secolarizzata, per quanto germinata ancora dagli studi biblici, i quali hanno prodotto evidentemente frutti molto diversi tra loro: in questo caso l’idea dei diritti umani, della tolleranza, della laicità.