Propongo una veloce sintesi della relazione di Flavio Pajer - nella foto - al Convegno di Aggiornamento organizzato recentemente dalla Pontificia Università Salesiana. Il testo integrale si può trovare nel sito della rivista Pedagogia Religiosa 

Il binomio “Cittadinanza e Istruzione Religiosa” ricorre sempre più spesso nei testi legislativi che riguardano la scuola nei vari Stati europei. E’ in atto una ricerca di sinergia tra due insegnamenti perché non è pensabile formare alla cittadinanza prescindendo della diverse identità religiose. Fino a qualche decennio fa il pluralismo religioso in Europa era intra-cristiano e gli insegnamenti delle varie confessioni religiose nella scuola servivano a rafforzare il senso di appartenenza alle rispettive comunità e quindi la cittadinanza consapevole. Ciò ha funzionato nei paesi cattolici, protestanti e ortodossi fatta eccezione per la Francia che ha scelto all’inizio del secolo scorso una separazione netta tra Stato e confessioni religiose.

Questa strategia può reggere ancora a condizione di dare all’istruzione religiosa una “formale rilegittimazione giuridica e pedagogica”.

Questa però deve partire dalla consapevolezza che il contesto è profondamente cambiato perché le società europee “post secolari” sono caratterizzate da un forte pluralismo religioso, filosofico ed etico.

 In esse le chiese non orientano più la maggioranza dei cittadini e una percentuale crescente di persone dichiara di non appartenere ad alcuna religione. Vi è una presenza significativa dell’Islam il quale continua a ritenere inaccettabile la distinzione tra religioso, culturale ed etico. Si diffondono gruppi religiosi fortemente identitari che entrano in conflitto con l’autorità statale mentre le autorità pubbliche sono frantumate e poco riconoscibili.

In questo contesto non è facile promuovere i valori di cittadinanza perché può accadere che ciascuna identità rivendichi un suo specifico sistema di verità e di valori non negoziabili. Eppure non sembra pensabile formare cittadini prescindendo dal loro statuto religioso e relegandolo al privato delle coscienze anche perché una scuola rispettosa dei diritti della persona e della libertà educativa della famiglia non può ignorare l’identità religiosa dell’alunno.

La strategia dell’Unione Europea è dunque quella di inglobare i valori etici tipici delle religioni, nella comune educazione alla cittadinanza.

L’UE non può interferire con i diversi modelli nazionali di rapporto tra Stato e religioni ma ne cerca uno proprio ricorrendo a una nuova base politico- giuridica comune, di natura extra religiosa ma non a-religiosa o anti-religiosa.

Tale base è costituita dalla tavola dei diritti umani che prevedono la libertà religiosa e il diritto all’esercizio pubblico della religione. E’ per questo che l’UE può intervenire sulla scuola coniugando l’istruzione etico religiosa con l’educazione ai valori della cittadinanza. Le sue linee di azione sono le seguenti:

-          Prevenire le cause della intolleranza mediante la lotta a pregiudizi e stereotipi

-          Promuovere le condizioni per una nuova coesione sociale attraverso lo studio del fatto religioso e l’educazione ai valori della cittadinanza democratica.

Questa impostazione implica l’idea che la società plurale non sia solo la giustapposizione delle differenze: il sistema britannico che ha fortemente incoraggiato le scuole confessionali non pare avere avuto successo sul piano della costruzione della cittadinanza.

Introdurre nelle scuole insegnamenti di cultura religiosa transconfessionali per promuovere la conoscenza del fatto religioso e l’abbandono di pregiudizi e stereotipi sembra una strada più proficua, del resto già scelta da diversi Stati dell’Europa del Nord e altri Stati nel mondo. A volte questi insegnamenti sono stati introdotti unilateralmente, altre volte con l’accodo con le Chiese e le famiglie. A volte i corsi sono affiancati ad altri mono-confessionali, altre volte invece li sostituiscono.

In realtà il quadro europeo rimane molto frastagliato.

Nei Paesi scandinavi e in Inghilterra abbiamo insegnamenti religiosi gestiti dallo Stato e curricolari. Nei Paesi a tradizione confessionale mista (Olanda, Belgio, Germania, Repubblica Ceca, Slovacchia e alcuni Cantoni Svizzeri) restano insegnamenti confessionali affiancati da corsi di etica non confessionale spesso obbligatori.

Nei Paesi neolatini a maggioranza cattolica (ma anche in Irlanda, Polonia, Ungheria, Croazia e Malta) permangono insegnamenti di religione cattolica tutti a carattere facoltativo.

Nei Paesi ortodossi l’insegnamento della religione ortodossa è obbligatorio (con possibilità di esonero). In questi Paesi vi è una forte identificazione tra Stato e Chiesa e il rischio è che l’educazione ai valori religiosi sia una occasione per riaffermare una supremazia nazionale ed etnica.

Francia e Slovenia sono gli unici due Paesi in cui non è previsto un insegnamento religioso nella scuola.

Il quadro è in movimento. Potrà cambiare qualcosa anche in Italia?