Questo post doveva avere tutt’altro argomento. Ma l’ennesima uccisione di una donna per mano dell’uomo con cui aveva avuto una relazione affettiva, mi obbliga a portare l’attenzione su di lei, Giulia, e ancora di più su di lui, Filippo. Non si ripeterà mai abbastanza infatti che il problema della violenza degli uomini sulle donne sono, appunto, gli uomini. E allora voglio rilanciare la parola di un uomo che spiega come tanti, troppi uomini, concepiscono la propria maschilità. “E’ sempre sbagliato fare una graduatoria del dolore,

ma questa Giulia uccisa quando stava per laurearsi, dunque quando stava per diventare più Giulia, più autonoma e più libera, è una cosa che sbriciola il cuore. Fa piangere, scusate se lo dico così, in due parole. Per molti maschi essere maschi è una malattia, la cognizione che ogni donna appartenga solamente a se stessa li fa impazzire di paura. Escono di senno di fronte al fiorire della libertà. Il controllo delle donne, che è stata l'ossessione ideologica, millenaria, della società patriarcale non è più determinabile per legge: almeno in quel pezzo di mondo che chiamiamo Occidente, il patriarcato è una forma morta. Ma la sostanza no, non è morta. Il maschio che ha perso la sua presa istituzionale sulla persona donna, per disperazione si affida alla presa fisica. Minaccia, urla, picchia e ammazza. Anche parecchi maschi hanno festeggiato e si sono sentiti meglio sulle macerie di un ordine che era fondato sulla sottomissione della metà del genere umano (altrove verso Sud e verso Est quel muro è ancora legge) ma altri maschi in mezzo a noi quella legge se la portano dentro, l'anno introiettata, è la sola maniera con la quale riescono a rapportarsi alle donne: “O sei mia, o non hai il diritto di esistere”. Colpisce, ferisce, che un ragazzo nato dopo il 2000 possa averlo fatto. Non un vecchio patriarca spodestato, non un bullo conclamato, non un capobranco. No, uno studente dalla faccia gentile, figlio dei nostri tempi. Non si riesce nemmeno a odiarlo. Non si trova mezza parola da dirgli”.

È l’Amaca di Michele Serra su Repubblica del 19 novembre. Parole forti, parole vere. Ma alle quali vorrei aggiungere qualcosa. A Filippo, forse sì, non si trova mezza parola da dirgli, ma tu Michele Serra, così come voi uomini (e siete tanti) consapevoli della radice della violenza sulle donne, una parola su di voi e su tutti gli uomini dovete dirla, una parola nuova, una parola che liberi gli uomini da quella ossessione del controllo delle donne che li ha sequestrati per millenni. Siete voi i primi responsabili dell’educazione degli altri uomini. Se gli uomini non cambiano, non finirà nemmeno la violenza sulle donne.

Lo dico anche alle colleghe e ai colleghi IdR: se a scuola sorge il problema della violenza maschile sulle donne, fate riflettere sull’identità maschile, aiutate i maschi a comprendere che possono essere pienamente “riusciti” senza bisogno di dominare e controllare qualcuno. Non avallate l’idea, estremamente rassicurante, che chi uccide una donna è un mostro o è malato o è pazzo. Gli uomini che uccidono le donne sono uomini normalissimi che però ritengono di non essere uomini senza una donna da dominare. È da questa idea che devono liberarsi.

Carla Mantelli