«Sorretto da alcune donne il feretro era uscito da una grande casa nel quartiere S. Lazzaro, alla periferia orientale della città. Tante persone lungo le strade percorse dal carro funebre scortato dai vigili urbani in motocicletta a diretto in Piazza Duomo, tantissime quelle che parteciparono alle esequie in un clima di forte commozione e che al termine della liturgia si sciolsero in un lungo e intenso applauso mentre la bara usciva dalla cattedrale, di nuovo portata a spalla da quelle donne».
Di solito le bare sono portate a spalla da uomini. Ma Celestina poteva essere portata a spalla solo dalle sue “figlie”, donne che lei aveva generato a una nuova vita in Cristo e aveva reso forti per annunciare al mondo il Vangelo.
Mi pare che questa immagine si presti bene a simboleggiare un aspetto essenziale della vicenda di Celestina Bottego (1895-1980) fondatrice delle Missionarie di Maria - Saveriane: il suo essere inserita in una genealogia di donne dalle quali ha ricevuto in dono valori, esempi di vita cristiana, straordinarie competenze relazionali. E alle quali ha donato ascolto, incoraggiamento, amicizia, luminosa testimonianza di fede e per le quali è stata una vera direttrice spirituale.
E’ così che ce la racconta Rita Torti nel bel libro Mite è la forza – Celestina Bottego: la Sjorén’na di San Lazzaro Parmense fondatrice delle missionarie di Maria - Saveriane (EMI 2020, p.244, €.14).
Si tratta di una biografia che va a integrare felicemente altri lavori precedenti sottolineando il contesto esistenziale e storico in cui si sviluppa la scelta/risposta di Celestina, esplicitando le dinamiche di genere che segnano la trama delle sue relazioni, non tacendo delle difficoltà e tensioni che accompagnano ogni esperienza umana, anche quella più intrisa di santità. Restituendocela dunque come vero modello perché, in qualche modo, imitabile, non troppo lontana dalla vita di donne e uomini “normali”.
Con prosa leggera e precisa l’autrice ci conduce per mano attraverso l’infanzia, la giovinezza e la vita adulta di Celestina che nacque negli Stati Uniti, arrivò in Italia a quindici anni, insegnò inglese nelle scuole e dedicò la vita ai più poveri, all’apostolato e alla catechesi fino a quando, dopo molte incertezze, accettò la proposta del saveriano Giacomo Spagnolo di fondare il ramo femminile della congregazione nata per iniziativa di Guido Maria Conforti.
Aveva quasi 50 anni, poteva ritenersi “arrivata” e invece si rimise in gioco, disposta a cominciare una nuova vita. Decise che il modello della nascente Congregazione sarebbe stata Maria di Nazareth, alla quale associava le qualità dell’umiltà, della semplicità e del silenzio. Ma esattamente come in Maria, anche per lei esse significavano libertà di seguire sempre e solo la volontà del Signore e, quando necessario, prendere la parola con autorevolezza. Certo, come Maria, Celestina non ha per nulla chiaro in che cosa consisterà il suo compito, non ha in testa un progetto preciso, e nemmeno padre Spagnolo ce l’ha. Insieme, piano piano, danno inizio a un’esperienza che andrà precisando i contorni con il tempo producendo il frutto prezioso delle tante donne che, con una solida formazione ed educate al rispetto per ogni religione e cultura, sono partite per portare il Vangelo fino agli estremi confini della terra: le Saveriane appunto, che ancora oggi ammiriamo e amiamo come sorelle maggiori nella fede.
Una storia semplice e nello stesso tempo straordinaria quella di Celestina. Un esempio di donna mite e forte da raccontare alle nostre studentesse e ai nostri studenti.