Nella Gazzetta Ufficiale è stata pubblicato il cosiddetto "decreto scuola" grazie al quale parte l'iter che porterà nel 2020 a bandire il concorso per la stabilizzazione di una parte di insegnanti di religione che oggi sono in una condizione di precariato. Ne abbiamo parlato con Federico Ghillani, della CISL, che da tanti anni si batte per migliorare la nostra condizione professionale
- Finalmente, entro il 2020 sarà bandito il Concorso IdR. Che tipo di concorso sarà?
Rispetto a quanto prevede la Legge in vigore (186/2003), e dopo ben 15 anni di completa dimenticanza da parte dello stato, che ha visto crescere in maniera abnorme gli incarichi a tempo determinato gestiti dagli uffici diocesani, questo concorso dovrebbe consentire la stabilizzazione del personale da più tempo in servizio sulla quota mancante di contratti a tempo indeterminato che dovrebbero ricoprire complessivamente il 70% del totale di quelli funzionanti. L’attuale squilibrio tra personale di ruolo e incaricati è infatti completamente fuori dalla legge e ha contribuito ad aumentare la frustrazione di coloro che da troppo tempo aspirano giustamente al riconoscimento del loro lavoro che continua ad essere apprezzato da studenti e famiglie, una situazione che andava quindi corretta.
- Quali differenze rispetto al primo (e finora unico) concorso di circa 15 anni fa?
Nel 2004, a parte il fatto di trovarsi di fronte ad un evento storico anche per il numero delle assunzioni che erano previste nel triennio (oltre 15.000 a livello nazionale, una sessantina nella nostra diocesi), l’accesso al concorso, che ricordo era anch’esso un “ordinario”, cioè un concorso con una prova scritta ed una orale, era riservato a chi aveva alle spalle un quadriennio di servizio ad almeno il 50% dell’orario cattedra, oltre ovviamente al titolo previsto dall’Intesa e ad una specifica idoneità diocesana. Quello attuale, invece, ha previsto solo una quota fino al 50% dei posti totali da riservare a quanti hanno alle spalle almeno un triennio di servizio, e ciò avverrà in ognuno dei tre anni di riferimento (2020-21, 2021-22, 2022-23), ma ad esso potrà accedere, sempre se in possesso dei requisiti, anche chi tale triennio non l’ha ancora maturato.
- Dal mondo IdR si sono levate alcune proteste. Perché?
Gli IdR si sono anzitutto giustamente sentiti trattati in modo discriminante rispetto agli altri docenti per i quali la stessa Legge prevede un concorso “riservato”, anche se ad esso accederanno solo docenti delle varie discipline che hanno già dovuto sostenere una prova selettiva spesso dai più ignorata, una procedura quella del riservato che dava maggiori garanzie rispetto alla stabilizzazione del rapporto di lavoro. Tuttavia le proteste più accese e, a mio parere scomposte, sono nate dal timore solo parzialmente fondato, che in caso di non superamento del concorso o anche di risultato meno positivo, possano derivare conseguenze negative circa la conferma del proprio incarico o della sede di lavoro; tale eventualità è stata utilizzata secondo me in maniera acritica per far nascere, come già accaduto nel 2017 allorché si stava già formulando un analogo bando di concorso, paure e risentimenti solo in parte giustificati, senza tenere conto realisticamente che nell’attuale compagine parlamentare abbiamo forze politiche di maggioranza poco convinte nel riconoscere il nostro ruolo nella scuola e non disposte muoversi sul tema in modo bypartisan.
- Si poteva fare meglio?
Premesso che, nel nostro ordinamento, assunzioni e concorsi restano “riserva di legge” di esclusiva pertinenza dei poteri legislativo ed esecutivo, e non costituiscono materia di contrattazione ma solo eventualmente di confronto, da parte nostra e in modo unitario, pur senza annullare legittime differenze, abbiamo cercato di orientare il legislatore con proposte di emendamenti affinché si facesse finalmente carico dei problemi rimasti per anni sul tappeto, proponendo anzitutto con convinzione la necessità di un percorso riservato analogo a quello di altri docenti, ampiamente motivato dalla lunga inadempienza dello stato rispetto alla legge vigente. Tuttavia la contrarietà di alcune forze che compongono l’attuale maggioranza incontrata da chi si era fatto propugnatore della nostra proposta, ne ha impedito l’effettiva realizzazione, costringendo a ripiegare sull’attuale soluzione nella convinzione che non fosse il caso di attendere oltre allungando l’attesa.
- Si prevede che i contenuti del bando siano definiti d’intesa con la CEI. Era necessario?
Non credo personalmente che la CEI che in questi giorni si è pronunciata con chiarezza a favore della procedura approvata dal parlamento, pur consultata affinché un concorso riguardante docenti ai quali dovrà solo mettere “il bollino” col rilascio di uno specifico “atto” di idoneità possa avere finalmente luogo, vorrà entrare negli aspetti tecnici del bando di natura e competenza esclusivamente amministrativa, lasciando a noi sindacati il compito del confronto sulla formulazione del bando e limitandosi a coordinare le modalità di rilascio delle idoneità da parte delle diocesi. Probabilmente chiederà anche al ministro garanzie affinché il concorso abbia la più ampia natura di stabilizzazione possibile rispetto ai rapporti di lavoro già in essere, affinché i docenti possano continuare svolgere il loro compito con più serenità, tenendo anche conto che c’è un ordine del giorno votato alla Camera che impegna il Governo in questo senso. E questo credo sarà anche l’intento che come organizzazioni sindacali perseguiremo con decisione al tavolo di confronto che è previsto dall’accordo del 19 dicembre col precedente ministro.
- Come potrebbe cambiare la situazione a Parma rispetto a oggi?
Anzitutto saremo ben lontani dai numeri del 2004, trattandosi oggi solo di più di 1/3 dei posti allora messi a concorso stimati in circa 5.000 a livello nazionale, che nel triennio di riferimento saranno censiti annualmente da parte del MIUR,ma se le cose andranno come pensiamo ci troveremo a realizzare un’ulteriore stabilizzazione dei docenti di religione in servizio che comunque contribuirà, oltre le polemiche sterili, a rafforzare la loro presenza e il riconoscimento del loro lavoro nel mondo della scuola e, in definitiva, anche quello della stessa disciplina. Avremo così docenti oltre che preparati come sono già anche più sicuri del loro investimento professionale, e in grado di far evolvere l’insegnamento secondo le nuove necessità degli alunni della scuola di oggi, senza chiudere la porta anche ad alcuni dei colleghi più giovani che si candidano a traguardare la materia al servizio delle nuove generazioni.