Propongo una sintesi dell’interessante conferenza di  Philippe Portier, Direttore dell’Ecole des Hautes études, di Parigi, sul tema della laicità dello Stato. Per comprendere il passaggio dall’ancien régime alla Francia repubblicana si può citare un passo della Filosofia del Diritto di Hegel: “Il diritto della libertà soggettiva costituisce il punto di svolta e centrale nella differenza tra l’antichità e l’età moderna.” Prima l’uomo si trovava nella normatività stabilita da Dio, ora la filosofia dei diritti dell’uomo si presenta come un’assiomatica dell’autonomia.

 

Lo Stato ha quindi come unico scopo quello di porre le condizioni per un esercizio armonioso e pacifico dei diritti dell’uomo.

In questo contesto, lo Stato assume una funzione emancipatrice del cittadino rispetto alla tradizione religiosa da cui proviene e fa di un popolo diviso in “ordines” e con leggi diversificate a seconda della condizione sociale, della religione o del sesso, un unico popolo con uguali diritti individuali.

Ma quale statuto si deve accordare, in questo nuovo contesto, alle divinità ed alle chiese che ne amministrano il culto?

La soluzione è contenuta nel termine “laicità”: si tratta di un regime di diritto caratterizzato da un lato dalla libertà di coscienza dei singoli cittadini, dall’altro dall’affermazione della neutralità dello Stato.

La laicità del XIX secolo dà luogo ad un sistema concordatario che concede uno statuto ufficiale ai culti cattolico, riformato ed ebraico, sottomettendoli però alla sorveglianza dello Stato.

Nella Terza Repubblica si afferma invece un altro modello di laicità, rappresentato dalla legge del 1905 che sancisce un regime di separazione tra Chiese e Stato.

Lo Stato “privatizza” il religioso ed universalizza il politico, elevandolo al livello della ragione comune.

Ma, a partire dagli anni ’70-’80 del XX secolo, sorgono nella società francese rivendicazioni identitarie inédite da parte di tutte le comunità religiose.

Di fronte a tali rivendicazioni, lo Stato francese si è impegnato in un rinnovamento che ha portato al passaggio dal regime di separazione alla disposizione di un intreccio tra sfera religiosa e politica che comporta il reciproco riconoscimento ed anche un impegno condiviso nel miglioramento sociale. Si passa in tal modo dal regime della norma al regime del valore. Cosa significa ciò, e come è stato possibile?

E’ stato possibile in quanto la Chiesa cattolica, l’istituzione contro la quale la Repubblica ha lottato inizialmente per affermare la propria autonoma autorità, si è fortemente indebolita nel XX secolo, ed ha inoltre accolto, col Concilio Vaticano II, i principi della democrazia liberale. La Chiesa “intransigente” del Sillabo non esiste più; ma non solo: nel frattempo, a partire dagli anni ’90 del secolo scorso, la politica e quindi lo Stato sono entrati in crisi in Francia.

Tutte le indagini sui valori condivisi condotte negli ultimi decenni lo mostrano chiaramente: lo Stato francese è dunque giunto al riconoscimento del ruolo delle tradizioni religiose, del deposito di saggezza contenuto nelle loro tradizioni, e dell’almeno potenziale capacità di generare valori che possono diventare di utilità comune.

Il passaggio è cruciale: come aveva ben visto Jurgen Habermas, la politica non può auto-fondarsi. I valori hanno una radice extra-politica, che viene proprio dalle tradizioni religiose e a cui lo Stato può attingere senza contraddire tuttavia il principio di laicità.

Non a caso la Francia ha recentemente reintrodotto l’insegnamento morale e civico nei programmi scolastici.

Tutte le religioni hanno conosciuto una reviviscenza, proprio in reazione alla crescente secolarizzazione, e in modo speciale la galassia musulmana in Francia.

Il revival dell’Islam è quello socialmente più visibile, tanto più in quanto entra in contrasto con tutta una serie di gesti ed abitudini di marca cristiana a cui i francesi sono rimasti attaccati anche senza rendersene pienamente conto. Bisogna inoltre considerare che tutto ciò avviene in presenza di una viva e cocente memoria francese dell’antagonismo coloniale; si imponeva infatti nelle colonie lo stesso regime di laicità che abbiamo visto all’opera nella Repubblica, ma su bena altro “humus” sociale e culturale.

Il dibattito che via via si è sviluppato intorno a varie questioni ha contribuito a riconfigurare lo spazio pubblico e le sue regole.

Si è così delineata la prima posizione riguardo al rapporto che dovrebbe intercorrere tra religioni e Stato:

  • IL MULTICULTURALISMO: tale corrente rifiuta la “neutralità” dello Stato intesa come esclusione della religione dallo spazio pubblico e giudica che uno Stato sia tanto più neutro quanto più accetta la pluralità delle tradizioni religiose nella sua stessa sfera. Ispiratore di tale linea è il filosofo Charles Taylor; sulla stessa linea si schiera il gruppo degli “Indivisibili” e degli “Indigeni della Repubblica”. Questi ultimi respingono la nostra idea di laicità come espressione del “potere bianco”, affermano il carattere onnicomprensivo della religione musulmana, non si preoccupano di stabilire ponti tra i vari gruppi sociali.
  • La scuola della LAICITA’ UNIVERSALISTA si pone agli antipodi rispetto a quella del multiculturalismo. Intende separare rigorosamente il pubblico dal privato, estendendo però il pubblico ben oltre i limiti concepiti dalla Terza Repubblica. In particolare gli esponenti della laicità universalista contestano il diritto di portare il velo, in quanto a loro avviso “tollerare il foulard a scuola non è accogliere un essere libero”. Il multiculturalismo lede a loro avviso l’unità della Repubblica. Si tratta di un movimento razionalista e monista, nato nel 2005 in Provenza e denominato “Primavera repubblicana”. Nella stessa corrente monista, si collocano coloro che difendono l’identità francese non rifacendosi però alla ragione dei Lumi bensì alle radici cristiane dell’Europa: anch’essi sostengono la necessità di una politica restrittiva nei confronti della comunità musulmana, infatti le due correnti si trovano spesso unite nelle stesse battaglie.

La corrente multiculturalista è poco presente a livello politico, mentre quella razionalista è stata abbracciata da Manuel Valls e Jacques Chirac, mentre quella identitaria da Nicolas Sarkozy e Marine Le Pen.

E’ sorto così una specie di “doppio regime” nella società francese riguardo ai culti ritenuti più compatibili con la cultura nazionale (di origine giudeocristiana) da una parte e la comunità musulmana dall’altra.

Lo Stato finanzia le scuole private ed accorda garanzie per i prestiti e sovvenzioni indirette alle associazioni di culto, chiede consulenze in campo bioetico e di dialogo inter-religioso; si è insomma aperto alla collaborazione, ma si impegna in una stretta sorveglianza sulle comunità musulmane.

Ha avviato una “politica trasformativa” che agisce a livello educativo: con l’affissione della “carta della laicità” nelle amministrazioni pubbliche, negli ospedali e nelle scuole; a livello morale: introduzione dell’educazione civica nella scuole; a livello coercitivo. Ad esempio la legge del 1905 proibiva il velo solo negli uffici pubblici e negli orari di lavoro; ora comprende anche la strada, la scuola, i negozi, i cinema e i teatri nello spazio pubblico.

La nozione di “ordine pubblico” non comprende più solo le nozioni di sicurezza, tranquillità e salubrità, ma anche le “esigenze minimali della vita sociale”, un concetto la cui definizione non è immediata…

Cosa significa infatti “Vivere insieme”?

Le autorità pubbliche non esitano a far riferimento alle “radici cristiane della Francia”, mettendole in riferimento all’ordine democratico e liberale, pubblicizzando anche tradizioni come l’allestimento del presepe.

Insomma, pare che la riflessione politica francese, dopo una lunga epoca di contrapposizione, riscopra oggi l’origine religiosa dei valori che stanno alla base della convivenza civi