Nelle mie classi quinte, la prima lezione dopo la pausa natalizia è stata dedicata all’ascolto del messaggio di fine anno del Presidente Mattarella. Ho fatto questa scelta perché il Presidente si è rivolto ai giovani nati nel 1999 (appunto quelli delle classi quinte) con parole che mi sono parse estremamente significative. Ricordando che il 4 marzo si terranno le elezioni politiche, ha tra l’altro affermato: “Ho fiducia nella partecipazione dei giovani nati nel 1999 che voteranno per la prima volta. Questo mi induce a condividere con voi una riflessione.
Nell’anno che si apre ricorderemo il centenario della vittoria nella Grande Guerra e la fine delle immani sofferenze provocate da quel conflitto. In questi mesi di un secolo fa i diciottenni di allora – i ragazzi del ’99 – vennero mandati in guerra, nelle trincee. Molti vi morirono. Oggi i nostri diciottenni vanno al voto, protagonisti della vita democratica. Propongo questa riflessione perché, talvolta, corriamo il rischio di dimenticare che, a differenza delle generazioni che ci hanno preceduto, viviamo nel più lungo periodo di pace del nostro Paese e dell’Europa. Non avviene lo stesso in tanti luoghi del mondo. Assistiamo persino al riaffacciarsi della corsa all’arma nucleare. Abbiamo di fronte oggi difficoltà che vanno tenute sempre ben presenti. Ma non dobbiamo smarrire la consapevolezza di quel che abbiamo conquistato: la pace, la libertà, la democrazia, i diritti. Non sono condizioni scontate, né acquisite una volta per tutte. Vanno difese, con grande attenzione, non dimenticando mai i sacrifici che sono stati necessari per conseguirle”.
Si tratta di parole molto importanti anche per noi adulti nel nostro ruolo di educatori ed educatrici. Il Presidente vuole aiutare i giovani a vedere il bene che è presente nell’epoca che stanno vivendo e i grandi miglioramenti di cui godiamo rispetto al passato. Non si tratta certo di un invito a chiudere gli occhi di fronte alla drammaticità dei problemi ma un aiuto a coglierli nel loro giusto contesto. Quante volte invece noi educatori facciamo credere ai ragazzi che l’epoca presente è un’epoca “di crisi” (mai parola fu tanto abusata...) in cui si “sono persi i valori”! Quante menzogne! C’erano più valori quando le piazze inneggiavano alla guerra? O quando c’era la dittatura? O quando solo i ricchi potevano curarsi e istruirsi adeguatamente? Ogni tanto sento qualche collega affermare che una volta la vita era “più sana”. Forse quando la gente moriva a quarant’anni a causa di un’alimentazione e un’igiene del tutto inadeguata? O quando le donne a trent’anni erano vecchie, sfibrate dal lavoro e dai troppi figli?
Dietro questa inspiegabile nostalgia del passato ci possono essere tanti fattori: il disagio di fronte a cambiamenti difficili da interpretare, la tendenza a vedere solo il male senza mai accorgersi del bene, una sfiducia profonda nell’umanità e nella vita.
Io penso che un atteggiamento di questo genere sia molto grave da parte di chi educa come noi insegnanti. Un vero e proprio tradimento! Il nostro dovere è infatti aiutare i giovani a considerare il mondo un luogo abitabile, confermare che la promessa di senso che è stata fatta loro quando sono stati chiamati alla vita è una promessa fondata, non un imbroglio. Ne consegue che è necessario vedere e mostrare la realtà come un luogo in cui ci sono rischi ma anche opportunità, male ma anche bene, volgarità ma anche bellezza. Ed è necessario testimoniare la speranza che, facendo leva sugli aspetti positivi si possano ridurre quelli negativi, si possa trovare una strada umana e umanizzante nella complessità del mondo.
Non si possono educare i giovani senza aiutarli a vedere il bene dell’epoca presente e quindi a coltivare la speranza. Se ne farebbero degli eterni insoddisfatti e risentiti, a 18 anni già convinti di vivere in un mondo peggiore di quello che hanno vissuto i loro nonni.