La giornata dedicata alla formazione degli Idr del 7 settembre scorso è stata molto ricca di contenuti (a breve un resoconto completo) che alimenteranno un interessante confronto, che dovrà trovare di sicuro ulteriori spazi sia a livello personale che comunitario, e non necessariamente solo tra Idr.  In questo senso desidero sottolineare brevemente alcuni passaggi, a mio giudizio particolarmente significativi, sui quali continuare a “esercitare pensiero”.

 

Una prima considerazione coglie alcuni elementi suggeriti da don Matteo Visioli nella sua riflessione di apertura. Un primo punto che trovo particolarmente significativo, e non solo per le evocazioni di carattere squisitamente spirituale, è stato il richiamo al profilo dell’Idr come di un insegnante che trova la sua ragione costitutiva nell’esperienza cristiana vissuta nella Chiesa e capace, a partire da questa, di rendersi “servizio scolastico” per la comunità civile nei modi e nelle finalità che le sono proprie. Non si tratta solo di un generico, e comunque per nulla banale, richiamo ad una prassi di vita che si nutre del Mistero, quanto di un riconoscimento del fatto che la mediazione culturale che arriva nelle aule è la risultante di una fatica intellettuale e educativa che trova nella persona di Gesù l’irrinunciabile misura dell’umano:  una consapevole presa d’atto che questa è la condizione che rende credibile sul piano comunicativo-relazionale  e legittimo sul piano culturale il nostro sforzo di mediazione educativa e didattica. In questo senso ritengo allora, ed è la seconda osservazione su questo, che la “solitudine” dell’Idr di cui parlava don Visioli non debba tanto essere intesa riduttivamente in senso politico o giuridico (le condizioni  oggettive di carattere normativo espressioni di una storia con gli effetti che conosciamo…),  quanto piuttosto come la prova – quando la si  avverte – di una differenza originaria che si coglie solo quando ci si avvicina a comprendere davvero che cosa sia l’ “esperienza religiosa” e non solo il “fatto religioso”.  Essere “confessanti” non porta a nessuna forma di proselitismo o diminutio di cittadinanza, può, e a scuola deve, essere invece l’espressione autorevole e consapevole di una esperienza che è in atto e non solo materia oggetto di indagine critica. Credo ci stia allora in questo senso il “non essere mai capiti del tutto”. Del resto, se ci pensiamo, questa insuperabile incomprensione la sperimenta per primo ciascuno di noi quando fa i conti, per usare una felice espressione emersa, con la propria “autobiografia spirituale”.

Una seconda riflessione prende spunto dalla relazione del prof. Salvarani, che solo superficialmente potrebbe apparire non coerente con quanto sopra richiamato. La relazione, centrata sul cosa significa oggi parlare del fattore “R” all’interno di una trasformazione che ha con una forte accelerazione modificato i nostri contesti, ha posto una questione decisiva che investe il pensarsi Idr: come rendere oggi significativa una mediazione culturale “cattolica” in un quadro plurale? Come interpretare quindi il servizio alle nuove generazioni sempre più espressione di un mondo a colori? Una risposta a mio giudizio c’è stata quando Salvarani ha con forza e puntuale documentazione sottolineato l’importanza dello “stile” del cristiano nel suo camminare con-gli-altri. E non alludeva certo a nessuna buona educazione. Qui credo, se ho ben capito, la “confessionalità” può a pieno titolo esprimersi legittimando fino in fondo se stessa. La disponibilità/ capacità di ascolto, la paziente fatica di chi costruisce relazioni, la fiducia nell’altro come soggetto che porta con sé le grandi e drammatiche tensioni del vivere credo in definitiva non troppo diversamente da “noi” cristiani, bene tutto ciò credo che vada a definire un modo di “abitare la complessità”, come diceva don Matteo, che ci sposta in avanti rispetto alla “nostra” cultura o più semplicemente e radicalmente rispetto a “noi” stessi.  Proporsi con lo spirito del Vangelo significa aprirsi e liberare il nuovo che proprio perché tale sorprende.  E’ solo in questa prospettiva che si comprende adeguatamente la ricchezza della categoria di “ospitalità” contestualizzata nei progetti didattici del pomeriggio.

Il lavoro dell’idr si esercita, malgrado tutto, sempre sul crinale dell’esistenza, è una “disciplina” che si affaccia sul trascendente e che, così come può, balbettando, prova a evocarlo e raccontarlo sapendo che in ogni nostro studente, piccolo o grande, c’è già la materia su cui la nostra iniziativa può, spesso senza che per lo più ce ne accorgiamo, “lasciare il segno”.