Due genitori separati hanno idee opposte sulla scelta di fare frequentare alla figlia l’insegnamento della religione cattolica. La madre (convivente con la figlia) propende per un’educazione non religiosa mentre il padre vuole che si avvalga dell’IRC. Una prima sentenza dà ragione alla madre ma il padre ricorre e la Corte di Cassazione ritiene che le ragioni del padre siano valide. Perché? Perché (informa il Sole 24ore del 7 marzo scorso) lo statuto pedagogico dell’IRC è “sempre più orientato non già
all’adesione ad un credo religioso specifico ma al confronto con il momento spirituale della religiosità al punto che qualcuno al riguardo parla dell’ora delle religioni”. I giudici scrivono ancora, infatti, che “la crescita del multiculturalismo nelle scuole spinge proprio nella direzione di un esame complessivo del fenomeno religioso, senza particolari gerarchie, alla comune ricerca di premesse per una dimensione spirituale da coltivare nei modi che matureranno singolarmente” (Ordinanza 6802 del 24.02.2023).
Uno studente ricorre al TAR perché vuole cambiare idea rispetto alla scelta di avvalersi dell’IRC oltre i limiti temporali definiti dalle norme. Il TAR Lombardia, sezione II di Brescia, con sentenza n.1232/2022, gli ha dato ragione. Perché? Perché (informa Federico Ghillani nella News IRC 2/2023) se si ritenesse il contrario “risulterebbe sacrificato il diritto alla libertà di culto che, in quanto diritto della persona, subirebbe un’irragionevole compressione se non fosse consentito al titolare dello stesso mutare le proprie scelte esistenziali”.
Insomma, ci sono giudici che ritengono la nostra materia una generica educazione religiosa e altri che la ritengono… un atto di culto! Certo, il pronunciamento della Cassazione è molto più sensato dalla sentenza del TAR ma sembra che ogni giudice interpreti le norme a piacimento e la confusione regna sovrana. Ne usciremo mai?